08/09/2020

I TAROCCHI: OGGETTO D’ARTE CON IL CONTRIBUTO DELLE MARCHE – di Morena Oro

By artedellamarca

Quando si parla di tarocchi in contesti non esattamente esoterici si corre sempre il rischio di non essere presi sul serio o per lo meno di innescare, almeno inizialmente, un barlume di pregiudizio dovuto alla fama poco stimabile che essi si sono guadagnati attraverso la pratica della cartomanzia esercitata di fantomatici maghi o più esattamente da ciarlatani o specialisti nella predizione del futuro, che ne hanno fatto il loro strumento prediletto per spillare quattrini agli sprovveduti. È vero che il loro uso, fin dalla antichità, è connesso alla divinazione per opera di un oracolo o di un vate, ma nella sua forma rituale è una pratica tutt’altro che semplicistica, poiché essa risponde, volenti o nolenti, al bisogno primordiale dell’uomo di ottenere risposte riguardo il futuro, dissiparne, per quanto possibile, le incertezze, provare a penetrare i misteri dell’ignoto. Dal secolo scorso, grazie a Carl Gustav Jung, è anche vero che si è imposto un modo nuovo di utilizzo dei tarocchi, se vogliamo più scientifico, al fine di intraprendere un percorso di autoconoscenza di ordine psicologico e ottenere risposte non più legate al bisogno di conoscere il futuro, ma alla necessità di conoscere sé stessi e i misteri ignoti che ci avvolgono. Incontestabile è il fatto, tuttavia, che in entrambe le modalità di approccio alla lettura dei tarocchi si debba fare riferimento a una complessa struttura di segni e simboli dove gli archetipi universali si manifestano per spostare il linguaggio comune, fatto di parole e lettere, al di là della loro possibilità comunicativa, farlo accedere oltre la coscienza manifesta, in quella zona d’ombra in cui il simbolo porta a galla, dallo strato inaccessibile del nostro inconscio, messaggi destinati a rimanere occulti, impenetrabili dalla nostra comprensione razionale. Negli ultimi decenni si è visto aumentare l’interesse verso i tarocchi, divenuti un formidabile strumento d’indagine personale; sono stati dati alle stampe centinaia di libri sull’argomento che è stato affrontato da ogni angolatura e da una moltitudine di studiosi e appassionati. Proliferano corsi che insegnano a leggere i tarocchi e alimentano l’enorme curiosità collettiva, tutta rinnovata e, probabilmente, in tempi pregressi, mai registrata con tale forza. Questo si è verificato soprattutto, negli ultimi anni, sulla scia divulgativa di Alejandro Jodorosky[1] che con la sua modalità trascinante, visionaria e intuitiva, ha studiato un metodo di lettura che pone i tarocchi alla portata di tutti, e non costringe, almeno inizialmente, a impelagarsi in difficoltosi studi sulla cabala mistica, sull’alchimia, sull’ermetismo e l’astrologia per riuscire a intuire “il discorso” suggerito dagli Arcani Maggiori (ventidue) e gli Arcani Minori (cinquantasei).

Fermarsi a Jodorowsky, tuttavia, non concedendosi il necessario approfondimento storico che questa “macchina filosofica” richiede – per usare l’espressione cara a Piotr Demianovich Ouspensky[2] – significherebbe precludendosi la possibilità di entrare in contatto con sfere della conoscenza riservate a quelli che venivano definiti, in ambito ermetico, gli “iniziati”. Fermarsi sulla soglia significa voltare le spalle all’indicibile potenziale insito in essi. I tarocchi sono realmente uno Stargate spalancato sull’infinito delle possibilità umane che, attraverso un cammino iniziatico verso la Conoscenza, può condurre al disvelamento della parte divina di ogni essere umano, chiamata a palesarsi nel quotidiano della vita terrena. In qualche modo, questo tentativo d’innalzamento, questo anelare a Dio (o a qualsiasi nome o forma a Esso si attribuisca) attraverso un’ispirazione tensiva dell’anima che diviene così creatrice, è da sempre desiderio dell’artista, non a caso associato al Mago-Bagatto, la figura numero Uno nei tarocchi. L’artista è dunque un creatore che nel tentativo di conoscere Dio riflesso in sé stesso (proprio attraverso l’interpretazione dei tarocchi), tenta di emularlo. I Tarocchi sono stati esaminati in ogni loro aspetto da scrupolosi studiosi che ne hanno tentato la ricostruzione storica e concettuale, andando incontro a enormi difficoltà nel rintracciare una origine, a oggi, ancora sfumata e non chiaramente circostanziata. Gli storici hanno tentato di comprenderne e svelarne adeguatamente il linguaggio simbolico che sembra contenere una portata inesauribile. Una dimensione, quella dei tarocchi (originariamente niente più che un intrattenimento ludico finalizzato al gioco) che ha impegnato filosofi, umanisti e ricercatori di ogni epoca, tesi a elaborare ognuno un loro schema, una loro narrazione simbolica che superasse, di volta in volta, la visione e la potenzialità precedenti, affinché la distanza dal fine, l’innalzamento a “uomo divino”, si accorciasse sempre di più. Uno degli aspetti più sottovalutati, o non adeguatamente approfonditi, a mio avviso, è il riconoscimento di “opera d’arte” che si può sicuramente attribuire a un mazzo di tarocchi, in quanto, oggi, il concetto di opera d’arte si è enormemente dilatato inglobando qualsiasi creazione, come ha più volte osservato il filosofo contemporaneo, docente di Estetica, Mario Perniola[3]. In molti hanno tentato di dare una definizione alla parola “Arte” ma i suoi connotati sono molto elastici e inclusivi, a tratti misteriosi, un po’ come l’enigma legato ai Tarocchi stessi.

Tradizionalmente l’Arte (quella con la maiuscola) si riferisce all’espressione del bello, ma anche il bello è un concetto ambiguo poiché legato al giudizio soggettivo, per quanto esistano parametri universali cui fare riferimento; l’opera d’arte è un manufatto creato dall’uomo, in qualsiasi materiale, che abbia qualità estetiche o sensoriali capaci di stimolare alla visione e capace di suscitare emozioni o sensazioni, nelle svariate forme espressive. Deve avere tre componenti fondamentali nel suo insieme: il soggetto, la forma e il contenuto. Il soggetto è dato dal tema che l’opera rappresenta; la forma è la parte materica e tattile che si può guardare e toccare, il contenuto, infine, riguarda ciò che un’opera comunica. Tutte caratteristiche perfettamente attribuibili alla maggior parte dei mazzi di tarocchi, che siano eseguiti più o meno raffinatamente dagli artisti incaricati.

Vittorio Sgarbi in una recente intervista ha dato una definizione interessante di Arte, definendola come “la creazione in competizione con Dio”.  Nel nostro caso il raffronto può essere assolutamente pertinente in quanto i Tarocchi vengono concepiti, fin dall’inizio, come gioco intellettuale, sviluppato in relazione a un cammino interiore che elevi la persona verso il divino, affinché questo entri in profondo contatto con la divinità speculare che alberga nell’animo dell’uomo. Quindi è certamente quella dell’Arte, la categoria che possiamo chiamare in causa per accostarci al piacere di osservare un mazzo di tarocchi, ed è sempre l’Arte che, con il suo potenziale espressivo di forme e simbolismi, è in grado di farci addentrare nella straordinaria narrazione di questo incredibile strumento e interiorizzarlo, in primo luogo,  attraverso lo sguardo da cui passa il riconoscimento dei simboli, legati sì, a una sapienza più profonda, ma, soprattutto, simboli da intendersi come chiavi di codici universali che univocamente parlano con tutti noi.

Tarocchi di Mantegna, B. COSMICO.XXXIII.33. Milano, Ambrosiana

La varietà dei mazzi è talmente ampia, la loro storia talmente ramificata che è impossibile in questo articolo prendere in esame l’argomento nella sua interezza. Ci limiteremo a esaminare due mazzi strettamente collegati fra loro che rientrano nello specifico interesse di questo blog, ossia il contributo delle Marche alla storia dell’arte dei tarocchi. Si può cominciare parlando dei Tarocchi di Mantegna e dei Tarocchi Sola-Busca, due mazzi che rientrano nella categoria dei “tarocchi fantastici”[4] poiché si discostano notevolmente dall’iconografia e dalla struttura tradizionale dei trionfi medioevali (così erano correntemente chiamati all’inizio gli arcani maggiori) e dei successivi, più famosi, tarocchi marsigliesi francesi[5]. Questi due mazzi, databili alla seconda metà del Quattrocento, al contrario di tutti gli altri, considerati comuni carte da gioco, non erano stati concepiti per mero intrattenimento, ma attraverso un apparato di ispirazione umanistica, intendevano adempiere a uno scopo educativo (di tipo politico e sociale) fissando in immagini alcuni aspetti rilevanti della società del tempo.

Con i Tarocchi di Mantegna si assiste a una delle prime affermazioni del neoplatonismo fiorentino nella cultura padana del XV secolo, ancora ricca di tradizione gotica. In realtà non si tratta di un vero e proprio mazzo tradizionale ma di una raccolta di carte basate su incisioni che formano una summa del sapere universale, e hanno lo scopo di celebrare il legame tra il mondo-macrocosmo e l’uomo-microcosmo. Fino al XIX secolo, queste raffinate stampe sono state attribuite ad Andrea Mantegna, ma studi più recenti e accurati sono propensi a credere che siano opera del pittore veneziano Lazzaro Bastioni. Le raffigurazioni, cinquanta stampe incise a bulino di altissima qualità, rappresentano una vera enciclopedia del sapere tradotta in immagini.  Questi tarocchi videro la luce fra il 1460 e il 1465 a Ferrara, una delle città fondamentali nella produzione e diffusione delle carte da gioco, insieme a Bologna e Milano, ognuna delle quali capace di imprimere una propria e riconoscibilissima tradizione iconografica[6]. In che maniera, dunque, i tarocchi prodotti a Ferrara ci portano a parlare del contributo delle Marche nella storia di questo misterioso e formidabile strumento? A San Severino Marche nacque, il 4 febbraio 1447, Ludovico Lazzarelli[7], grande umanista rinascimentale, poeta, filosofo, appassionato di astronomia e di cabala, fine conoscitore del greco e dell’ebraico, esperto ermetista e alchimista, nonché conteso precettore dei nobili rampolli tra le caste più in vista e influenti del regno. Lazzarelli, seguace di Ermete Trismegisto[8], ebbe maniera di muoversi, in veste di studioso, filosofo e astronomo, nelle più importanti corti italiane dell’epoca, rappresentando ad oggi, con tutta probabilità, l’aspetto più misconosciuto e inconsueto del Rinascimento, ossia un ricco sottotesto storico, artistico e filosofico fortemente influenzato dall’alchimia, dall’ermetismo, dalle scienze occulte dove convogliavano tanti studiosi, artisti e letterati.

Fin dalla giovane età si dedicò alla poesia componendo lunghi poemi di ispirazione cristiana, senza trascurare però l’interesse verso figure pagane e mitologiche: mescolando tematiche umanistiche e platoniche arrivò a concepire, nel 1468, il proprio tributo al mito, l’Inno a Prometeo. Questo suo forte interesse per le divinità pagane risultò essere il punto di contatto cruciale con i Tarocchi di Mantegna. Queste straordinarie incisioni, infatti, nel loro insieme costituiscono un’opera dove si può cogliere la struttura filosofica legata a quella tradizione che riconosce, agli antichi Dèi, un ruolo fondamentale nella vita degli uomini, in quanto non identificati in entità astratte, distanti dalla vita reale, ma presenze effettive operanti attraverso l’influsso dei pianeti e che in qualche modo ne assorbono le potenzialità. E fu proprio questo presupposto intellettuale che conquistò Lazzarelli. Durante uno dei suoi soggiorni nella Serenissima, comprò una copia dei Tarocchi di Mantegna[9] in una delle numerose botteghe di Venezia che vendevano carte da gioco, richiestissime in quegli anni. Nel 1469 rientrò nelle Marche per stabilirsi a Camerino e fu proprio negli anni successivi che, ispirandosi alle misteriose figure scoperte a Venezia, compose un lungo poema in due volumi di carattere astrologico-mitologico, il De gentilium deorum imaginibus dove si può cogliere la perfetta coincidenza del testo con le incisioni, incollate nei manoscritti che produsse. Questa opera va anche intesa come una forma di riconoscimento alla tradizione classica che assegnava a queste figure mitologiche il ruolo di reggitrici del destino degli uomini. Inoltre, nella visione del Lazzarelli ermetista, l’uomo nella sua dimensione terrena era considerato il centro di un immutabile sistema di corrispondenze e influssi della manifestazione dell’energia universale, tanto che, vivendo esposto alle forze cosmiche, arrivava a sviluppare la capacità di concertare il rapporto fra le cose terrene e quelle celesti, addentrandosi in una conoscenza profonda delle connessioni più nascoste, fino a prevederne gli effetti o le conseguenze, fino a inserirsi, attraverso opportune pratiche, nel sistema del potere occulto da cui dipende il destino dell’individuo. Si evince quindi e chiaramente, da parte del filosofo, l’allusione a una assimilazione della  parte divina nell’uomo attraverso la conoscenza e l’alchimia. Il Lazzarelli con questa opera amplifica la consuetudine di associare a scopo ludico dei versi alle carte come, prima di lui, fece anche Matteo Mario Boiardo[10], per ridare loro una più elevata funzione sapienziale.  Nel periodo in cui visse a Pioraco, vicino Camerino, intraprese la stesura del Fastorum Christianae, un’opera enciclopedica dedicata ai santi e alle feste del calendario cristiano ed ebraico. Ne affidò la miniatura al pittore severinate Lorenzo d’Alessandro[11] a conferma della sua irresistibile attrazione per la coniugazione fra testo e immagini, caratteristica questa che spiega in gran parte l’intensa attività relazionale che intraprese con innumerevoli artisti di quel periodo, in tutta Italia. Nel 1480 si trasferì a Roma, dove approfondì lo studio dei testi sacri ed ermetici pervenendo, usando un’espressione coniata da lui stesso, a una “vera e propria rigenerazione”. Un anno dopo, l’incontro con Giovanni da Correggio, discusso e astruso personaggio, che in quegli anni movimentava segmenti culturali della società, lo folgorò al punto da diventarne un accanito seguace. Il rapporto molto stretto che si stabilì fra i due – in qualità di sapiente, Giovanni da Correggio, e discente, Ludovico Lazzarelli – condusse il nostro filosofo alla convinzione che la divinizzazione dell’uomo, il suo ritorno a Dio, può avvenire soltanto attraverso vari gradi di elevazione, sotto la guida scrupolosa di un maestro, in un passaggio da una conoscenza razionale a una conoscenza-illuminazione che sia una visione analogica di Dio. Attraverso questa rigenerazione l’uomo acquisisce un potere interiore che gli consente di vivere la propria vita sotto una nuova forma, quella di uomo Divino e, a testimonianza di questa visione esistenziale, Lazzarelli pone sé stesso e il proprio percorso interiore compiuto, attraverso lo studio, la scrittura, la pratica occulta e l’arte, a cui dedica tutta la sua vita. Ma occupiamoci ora dell’altro importantissimo mazzo di “tarocchi fantasiosi”, per stringere il cerchio sulle Marche. I tarocchi Sola Busca sono il più antico mazzo al mondo conservato e pervenuto fino ad oggi completo. È stato acquistato nel 2009 dal Ministero per i Beni Culturali[12], con diritto di prelazione, per 800mila euro, dai precedenti possessori ovvero la marchesa Busca e il conte Sola[13] destinandolo alla Pinacoteca di Brera che nel 2013 vi ha allestito una mostra a riguardo. Miniato a Venezia nel 1491 e commissionato con tutta probabilità da Marin Sanudo il giovane[14] proprio al marchigiano Lazzarelli.

Ludovico Lazzarelli a colloquio con la sua musa, Lorenzo D’Alessandro, New Heaven, Beinecke Library

Il perfetto stato di conservazione del mazzo suggerisce che sia stato sempre considerato un oggetto d’arte e come tale curato e protetto: non a caso, trattasi di carte lavorate e stampate su carta da incisioni a bulino, montate su cartoncino e dipinte a tempera a mano, alcune con particolari in oro. Il gioco vero, evidentemente, doveva avvenire con un mazzo meno pregiato, una versione più semplice realizzata a stampa, mezzo che proprio in quegli anni, come approfondiremo più avanti, rivoluzionò il settore delle carte da gioco. Il mazzo Sola Busca è composto da una serie di ventidue Trionfi[15] che raffigurano eroici condottieri dell’antichità greco-romana e, in due casi soltanto, della storia biblica: Nenbroto (Nimrod) e Nabuchodenasor (Nabucodonosor). Le cinquantasei Carte di Corte e le Numerali raffigurano allegorie alchemiche, immagini fantastiche e scene di vita quotidiana.  I quattro semi tradizionali delle carte (denari, spade, bastoni, coppe) sono invece qui differenti: Dischi al posto dei Denari, Mazze invece dei Bastoni e Anfore per le Coppe. Soltanto le Spade restano invariate. Tale caratteristica rende questo mazzo unico per questa complessa iconografia dei semi dove compaiono soggetti assolutamente estranei agli altri mazzi italiani del Quattrocento. Vi sono raffigurati antichi condottieri fra cui Alessandro Magno, illustri personaggi della storia romana come Nerone, della storia biblica come Nabucodonosor e Nimrod, ma anche molte altre raffigurazioni di ambigua identificazione, resa ancor più difficoltosa dalle storpiature applicate ai nomi. È soprattutto intorno alla figura di Alessandro Magno che gli storici hanno avanzato le ipotesi più complesse in quanto nel mazzo riveste un ruolo molto rilevante in veste di Re di Spade. Durante il Rinascimento la sua figura fu celebrata in vari modi, fra cui il romanzo medioevale. La longevità del mito, apprezzata da nobili e artisti, ha fatto sì che nel mazzo Sola-Busca siano presenti altri personaggi legati alla sua vita, come Olimpia, sua madre, quale regina di Spade e Zeus Ammone, suo vero padre secondo la tradizione, quale Cavallo di Spade[16].

Laura Gnaccolini è la studiosa alla quale si debbono le attribuzioni principali del mazzo. Attraverso l’identificazione degli stemmi di alcune casate è risalita al committente della coloritura, Marin Sanudo il giovane, ma anche all’individuazione del Lazzarelli quale concepteur del mazzo, attraverso l’esame delle sue frequentazioni durante i soggiorni a Venezia. Di fatti, sul finire del Quattrocento, il periodo in cui il Sola-Busca fu concepito e realizzato, Ludovico Lazzarelli era sicuramente l’unico a possedere una statura sapienziale sufficientemente elevata per progettare un apparato simbolico e iconografico tanto ricco e affascinante, capace di unire tra loro riferimenti intellettuali tratti dall’ermetismo, dall’astrologia, dalla storia e dall’alchimia. Era conosciuta, inoltre, la sua profonda sintonia con i Tarocchi di Mantegna che avevano già ispirato, qualche anno prima, il De Gentilium Deorum Imaginibus. Come sua consuetudine, volle coinvolgere in questa nuova sfida un artista conterraneo, il pittore anconetano Nicola di Maestro Andrea affidandogli l’iconografia delle incisioni, senza però astenersi – come è probabile immaginare – dal suggerirgli svariati temi, ispirati alla sua passione antiquaria e culminanti nella figura di Pvpila Augusta, che divenne talmente famosa da essere poi copiata di Albrecht Durer. La miscela esplosiva di indisciplinata intelligenza e sensibilità poetico-artistica del Lazzarelli trovò, nel pittore anconetano, un complice perfetto per dare vita a uno dei mazzi più singolari della storia dei tarocchi.  L’attitudine del Lazzarelli a stabilire vivaci sinergie con i pittori locali fu emblematica inoltre di un fervente momento storico in cui una cultura apolide traversò e vivificò le Marche profonde[1], da Camerino ad Ancona, espandendosi fino alle corti padane e napoletane, conquistate completamente dalla sua personalità inquieta e vagabonda e dal suo gusto per le contaminazioni culturali.

Figlio del pittore fiorentino Antonio di Domenico, Nicola di Maestro Antonio d’Ancona[17] nacque ad Ancona nel 1448 e fu uno degli esponenti principali del Rinascimento Adriatico[18]. Artisticamente, si era forse formato a Padova, anche se poi fece ritorno nella città natale dove visse e operò. Fu uno degli incisori più stravaganti del periodo, con segni strattonati che corrodono l’integrità delle forme, alleggerite da un andamento giocoso delle linee, che arrivano talvolta a disegnare ritratti, paradossalmente, caricaturali. Profondamente influenzato, nello stile, da Piero della Francesca, intorno al 1480, Nicola si confrontò in modo competitivo con l’arte di Crivelli, attivo da qualche anno nelle Marche, fra Fermo e Ascoli Piceno. I suoi tratti assumono, proprio come in Crivelli, anatomie snodate e retrattili, una influenza individuabile soprattutto nelle mani, rese ossute ed esageratamente snodate. Un’altra caratteristica inconfondibile del maestro dei Sola-Busca è l’abilità di rendere le stoffe di una sostanza quasi metallica, spiegazzate e ammaccate come lamiere. Le donne hanno volti spigolosi e labbra taglienti, le figure sembrano spietatamente scontornate da un rasoio, salvo poi essere ammorbidite dalle linee ondulate e ribelli dei capelli, ricche di nastrini e fusciacche che leziosamente fendono lo spazio. Nelle incisioni, soprattutto, il carattere nervoso e contorto del suo segno si fa evidentissimo: questi tarocchi, pertanto, risultano esserne la sua massima espressione. Le sue opere sono conservate nei musei di tutto il mondo, tuttavia tra quelle presenti nelle Marche si possono ricordare L’Annunciazione presso la Galleria Nazionale delle Marche a Urbino e Cristo lasso, conservato presso la Pinacoteca Civica di Jesi.

Nicola di maestro Antonio, Regina di spade, OLINPIA, Tarocchi di Sola Busca, Milano, Pinacoteca di Brera

A cavallo fra la fine del Medioevo e l’inizio del Rinascimento, nella diffusione e produzione delle carte da gioco intervenne un fattore determinante che finì per alterare la tradizionale fabbricazione dei mazzi e la loro diffusione: l’avvento della stampa. La carta, elemento fondamentale della stampa, arriva dalla Cina e non giunse in Europa quale souvenir dei tanti viaggi orientali di Marco Polo. Furono gli arabi a introdurla nel nostro continente. Le prime cartiere fiorirono in Europa sulla scia delle loro dominazioni, dapprima in Sicilia, poi in Spagna e verso la fine del XIII secolo, in un piccolo paese situato ai piedi dell’Appennino marchigiano, Fabriano. A Fabriano ha inizio la storia della carta che oggi conosciamo e che ancora oggi è famosa in tutto il mondo[20]. Una storia che è potuta progredire grazie a invenzioni, tecnologie sempre nuove, commerci infaticabili, ma soprattutto grazie alla posizione strategica di questa laboriosa cittadina, geograficamente situata in una zona ricca di tantissima disponibilità idrica, indispensabile a far muovere gli ingranaggi pesanti ed enormi dei macchinari che lavoravano senza sosta nelle cartiere. Secondo le fonti storiche nel Medioevo le cartiere presenti a Fabriano erano più di quaranta. Verso la metà del XV, secolo la produzione dei mazzi di tarocchi, che venivano prevalentemente miniati dagli artisti locali e quindi prodotti in numero limitato, sebbene di qualità molto resistente, tanto da giungere integri fino ai giorni nostri, vede una sterzata importante verso la produzione dei mazzi stampati e prodotti in serie. Si assiste alla scomparsa del pezzo unico e una declassazione del prodotto da oggetto di pregio, diffuso nelle corti, a oggetto a buon mercato, ora alla portata di tutti. Nel breve volgere di pochi anni, la produzione di mazzi miniati scomparve e produrre carte da gioco non fu più un’arte ma un mestiere. I produttori del nord si spostarono spesso a Fabriano per meglio apprendere i segreti e le migliori tecniche di produzione migliori delle carte. La stessa Fabriano, che avviò sul finire del Medioevo una precocissima rivoluzione industriale, oltre ai cartai vantava i lanaioli, i tintori, i fabbricanti di coppi, i conciatori, numerosi fabbri, sarti, calzolai, ebbe nel corso dell’Ottocento (fiorente secolo che vede l’affermazione dei tarocchi nella cartomanzia), la sua fabbrica di carte da gioco fondata nel 1857 da Ludovico Perozzi. Le carte prodotte erano di una elevata qualità, che permise al produttore di ottenere addirittura un importante riconoscimento presso l’esposizione agricola ed artistica di Ancona del 1869. Tra il XVII e il XX secolo, in tutte le Marche sorsero diverse fabbriche per la produzione della carte di cui, storicamente, si ha documentazione: la Fabbrica di carte Albani, a Urbino, sul finire del XVII; le Carte da gioco dei F.lli Merli, ad Ascoli Piceno, nel 1800; quelle dello Stabilimento Litografico A. Ciocca, a Macerata, operativo intorno agli anni venti. Ai giorni nostri, sicuramente, la principale realtà produttiva che realizza e commercializza tarocchi e carte di ogni genere, è la società “Lo Scarabeo”, con sede a Torino, che mantiene un approccio a tutto tondo sul mondo del Tarot, sia dal punto di vista storico, sia per quello iconografico e artistico. La nota divulgativa con cui Lo Scarabeo si presenta al mondo propone una chiave di lettura rappresentativa del patrimonio culturale che si può raggiungere attraverso questo strumento: “I Tarocchi sono come un grande affresco dell’epoca che rappresentano e raccontano, attraverso la sensibilità di illustratori italiani e stranieri che hanno saputo esaltare la simbologia di queste particolari carte nelle loro personalissime chiavi interpretative.  Lo Scarabeo si pone in forma innovativa nei Tarocchi cercando di svilupparne ed esplorarne i confini, sia simbolici, che storici che cartomantici.”

Note:


[1] Alejandro Jodorowsky è un eclettico artista cileno naturalizzato francese, attore, direttore di teatro, autore di pièce, autore di romanzi e fumetti, ma anche regista di numerosi film molto apprezzati per la loro originalità. Grandissimo studioso di tarocchi da più di quarant’anni, strumento che utilizza come parte fondamentale del suo percorso artistico e terapeutico, ha partecipato al restauro di uno dei mazzi più utilizzati, I Tarocchi di Marsiglia, che sono tra i più famosi al mondo, la versione classica del mazzo di Tarocchi. Il restauro è stato realizzato da Philippe Camoin, erede dei maestri fabbricanti di carte marsigliesi che hanno diffuso anticamente i Tarocchi di Marsiglia.  La fabbrica della famiglia Camoin risale al 1760 grazie al suo fondatore Nicolas Conver, ma i suoi Tarocchi non contenevano la Struttura Cifrata presente nei tarocchi Camoin-Jodorowsky. I Tarocchi che Philippe Camoin ha creato con Alejandro Jodorowsky, pur mantenendo la stessa impostazione, si differenziano dai Tarocchi di Conver, sia per i colori che per la quantità di simboli. Il mazzo Tarot de Marseille di Jodorowsky-Camoin, è stato pubblicato nel 2007.
[2] Piotr Demianovic Ouspensky è stato un filosofo russo (Mosca 1878 – Lyne Place 1947) il cui pensiero combina la personale vocazione mistica alla riflessione analitica e psicologica. Fu particolarmente interessato all’idea della quarta dimensione quella del tempo. Dopo l’incontro con il filosofo e mistico armeno Georges Gurdjieff, nel 1915, concentrò il suo interesse sullo studio pratico dei metodi per lo sviluppo della consapevolezza, com’è esposto in Frammenti di un insegnamento sconosciuto e La Quarta via. L’interesse di P. D. Ouspensky per i tarocchi risale ai primissimi anni del Novecento, e precede l’incontro con Gurdjieff. Affascinato dalla misteriosa struttura delle carte, nel 1913 pubblica il breve saggio Il simbolismo dei Tarocchi. Filosofia dell’occultismo nelle figure e nei numeri in cui racconta, con stile poetico e immaginativo, la macchina filosofica rappresentata dai 22 arcani maggiori. Nell’interpretazione del filosofo russo, i tarocchi sono un vero e proprio “libro” di simbolismo ermetico, che permette di accedere a un mondo più ampio e profondo.
[3] Mario Perniola (1941-2018) docente di Estetica, filosofo, teorico dell’arte contemporanea, saggista e scrittore e tradotto in tutto il mondo.
[4] I mazzi detti “fantastici” si differenziano da tutti gli altri perché venivano usati per vari tipi di giochi: istruttivi, didattici, divinatori. I soggetti delle figure variano di mazzo in mazzo e fanno riferimento a personaggi storici, letterari, biblici e mitologici. A questa tipologia appartengono i cosiddetti Tarocchi del Mantegna e il mazzo Sola Busca.
[5] Nel 1660 gli incisori parigini Jean Noblet e Jaques Vieville stampano un nuovo modello di tarocchi che, dopo innumerevoli revisioni da parte di produttori diversi, divenne famoso come Tarocco Marsigliese. Nel Settecento, questo modello, composto da 22 Trionfi e 56 carte, suddivise nei quattro classici semi, spopolarono in tutta la Francia, in Svizzera e in Italia del Nord dove i fabbricanti locali dovettero adeguare i propri mazzi ai nuovi marsigliesi in voga, per continuare ad avere mercato.
[6] Per una trattazione esauriente sull’argomento si veda L’Uomo divino. Ludovico Lazzarelli tra il mazzo Sola Busca e i Tarocchi del Mantegna, con una proposta per Lazzaro Bastiani, L.P. Gnaccolini, a cura, Electa, Milano 2018, testo di riferimento per queste righe di trattazione e catalogo della mostra “Ludovico Lazzarelli e i tarocchi del Mantegna nelle collezioni dell’Ambrosiana di Milano”, 17 aprile – 1 luglio 2018.
[7] Ludovico Lazzarelli, poeta e filosofo marchigiano, nato a San Severino Marche (1447-1500) è stato un poeta e filosofo, ma anche un seguace dell’ermetismo, in movimento tra le varie corti italiane del ‘400. A. De Marchi, lo definisce “un emblema, paradigma irripetibile di una temperie e di un momento, di una cultura apolide che traversò e vivificò le Marche profonde, dalla Camerino di Giulio Cesare da Varano all’Ancona di Ciriaco e dei mercanti levantini, pur proiettandosi verso scenari altrimenti ambiziosi, dalle corti padane a quella napoletana, da Venezia alla curia sistina” A. De Marchi  Nicola di maestro Antonio da Ancona, peintre graveur, tra vis comica e invenzioni esoteriche, in P.L. Gnaccolini a cura, Il segreto dei segreti. I tarocchi Sola Busca e la cultura ermetico alchemica tra Marche e Veneto alla fine del Quattrocento, pp.61-73, p. 72;
[8] Mitico autore della letteratura ermetica della tarda età ellenistica. Per letteratura ermetica si intende un gruppo di scritti di argomento filosofico-religioso che circolarono nel mondo greco-romano nei primi secoli d.C. Questi scritti facevano riferimento a una cosmogonia incentrata sulla creazione dell’uomo e sulle condizioni della sua liberazione spirituale attraverso la conoscenza. Gli scrittori che si definirono ‘ermetici’ vollero attribuire le dottrine dei filosofi classici a quelli che pensavano ne fossero stati i maestri: da ciò nacque l’idea di assegnarli all’antichissimo dio egiziano Thoth, identificato con il greco E. Trismegisto (“tre volte grandissimo”). Questi scritti furono più tardi collegati a una serie di testi astrologici, magici e alchemici, che permisero poi di parlare di una tradizione ermetica. Nel Medioevo e nel Rinascimento l’ermetismo fu considerato come la dottrina occulta degli alchimisti, che reputavano E.T. il padre dell’alchimia. (fonte http://www.treccani.it/enciclopedia/ermete-trismegisto/)
[9] Fino al XIX secolo, queste raffinate stampe sono state attribuite ad Andrea Mantegna ma studi più recenti e accurati hanno invece stabilito che siano opera del pittore veneziano Lazzaro Bastioni, intuizione dovuta per la prima volta a Roberto Longhi, che la annotava nella pubblicazione Officina ferrarese del 1934.
[10] Matteo Maria Boiardo (1441 -1494) è stato uno dei principali poeti volgari dell’Umanesimo. Operò alla corte estense di Ferrara e fu autore di versi encomiastici in onore dei suoi protettori politici. La sua fama è legata al poema epico-cavalleresco Orlando innamorato, la cui trama fu ripresa da Ariosto nel Furioso. Tra il 1469 e il 1478 stese per il diletto della corte estense I Tarocchi , un componimento in versi di 78 terzine e 2 sonetti.
Per la lettura del testo integrale di Matteo Maria Boiardo, si invia al sito di lettura gratuito LiberLiber: https://www.liberliber.it/mediateca/libri/b/boiardo/tarocchi/pdf/tarocc_p.pdf
[11] Lorenzo d’Alessandro detto il Severinate, nato e morto a San Severino Marche (1445 circa- 1501) è considerato l’ultimo esponente della “scuola severinate”. Si formò presso la locale bottega di Bartolomeo di Antonio, orafo e pittore. Di seguito aprì una propria bottega ottenendo un buon successo. Rivestì cariche pubbliche nella città natale e fu “priore di quartiere”, dal 1493, incaricato dell’amministrazione della giustizia. Nella sua vasta produzione alternò stile tardogotico a influenze umbre (in particolare di Niccolò Alunno, di Foligno, che realizzò nel 1468 un polittico per la collegiata di San Severino), crivellesche e pierfrancescane.
[12] Questa importantissima acquisizione da parte dello Stato del mazzo completo dei Tarocchi, denominato Sola Busca, è stata seguita dalla organizzazione di una mostra presso la Pinacoteca di Brera (13 novembre 2012 – 17 febbraio 2013), che definisce nell’umanista Lazzarelli l’estensore del programma iconografico e in Nicola di Maestro Antonio d’Ancona l’esecutore artistico. Si veda il catalogo, della mostra, tra le fonti di questo articolo: L.P. Gnaccolini, op.cit., Milano 2012.
[13] Le prime tracce di una descrizione del mazzo sono riferibili a Leopoldo Cicognara (Memorie spettanti alla storia della calcografia. Prato.1831 pp. 161 e ss.) che ebbe modo di visionare le carte a casa della “nobilissima dama marchesa Busca nata duchessa Serbelloni”. Si tratta di Luigia Serbelloni che, nel 1789 andò in sposa a Ludovico Busca Arconati Visconti. Una sua pronipote, tale Antonietta Busca Serbelloni nel 1872 sposerà il conte Andrea Sola-Cabiati, dando vita al ramo Sola-Busca da cui prenderà il nome il mazzo di carte.  (fonte https://tarocchisolabusca.it/la-storia-dei-tarocchi-sola-busca/)
[14] Marin Sanudo conosciuto anche con il nome italianizzato di Marino Sanudo il giovane (Venezia, 22 maggio 1466 – Venezia, 4 aprile 1536) è stato uno storico e politico italiano di origini veneziane.
[15] Alla loro comparsa nel XV secolo i Tarocchi erano detti Trionfi. Tuttavia, l’origine del termine è da sempre controversa. Sono state ipotizzate alcune possibilità: un rapporto diretto con il poemetto allegorico I Trionfi di Francesco Petrarca, le cui sei allegorie sono state spesso rappresentate in modo simile alle icone trionfali dei tarocchi; un rapporto con i carri trionfali che nel Medioevo accompagnavano le processioni carnevalesche. Ma è nel XVI secolo, in un inventario della corte di Ferrara, che compare per la prima volta il termine “tarocco” al posto di “trionfo”, forse derivante dal termine francese “tarau”.
[16] Di recente lo studioso J. P. Adams ha riconosciuto possibili rimandi alla vita di Alessandro Magno anche nelle carte di Polisena (Regina di Coppe) antico nome di Olimpia, Serafino (Cavallo di Denari), con riferimento alla divinità egizia Serapis, Apolino (Cavallo di Bastoni) riferito al Dio Apollo, e Palas (Regina di Bastoni) a cui fu eretta una statua dopo la morte del conquistatore; si veda, per approfondimenti, L.P. Gnaccolini, L’Uomo divino, a cura, op. cit, p. 16
[17] Nel Quattrocento, le Marche fecero parte di un fenomeno artistico diffuso lungo tutta la costa adriatica, tra Dalmazia, Venezia e Marche, detto “Rinascimento adriatico”. In esso la riscoperta dell’arte classica, soprattutto filtrata attraverso la scultura, è accompagnata da una certa continuità formale con l’arte gotica. Esponenti principali ne furono Giorgio da Sebenico, scultore, architetto ed urbanista, e Nicola di Maestro Antonio d’Ancona, pittore. All’interno del Rinascimento adriatico si può comprendere anche la figura di Carlo Crivelli. Per ciò che riguarda la pittura, questa corrente prende le mosse dal rinascimento padovano.  (fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Arte_del_Rinascimento#Rinascimento adriatico )
[18] Lo studio di riferimento sul lavoro di Nicola di Maestro Antonio d’Ancona, e fonte di queste righe, è di A. De Marchi, Nicola di Maestro Antonio da Ancona, peintre-graveur, tra vis comica e invenzioni esoteriche, op. cit, Milano 2012
[20] Per approfondire: http://www.fabrianostorica.it/storiacarta/cartiere.htm

Bibliografia di riferimento:

  • Pelosini, Tarocchi. Gli specchi dell’infinito, Museodei by Hermatena, Bologna 2016
  • Pelosini, I Tarocchi del Seicento, Museodei by Hermatena, Bologna 2017
  • Faeti, Guardare le figure, Donzelli Editore, Roma 2011
  • Eliade e J. P. Couliano, Dizionario dei simboli, Jaca Book, Milano 2017
  • Breton, L’Arte Magica, Adelphi (1957), Roma 2003
  • P. Gnaccolini, (a cura), L’Uomo Divino. Ludovico Lazzarelli tra il mazzo Sola Busca e i Tarocchi del Mantegna, con una proposta per Lazzaro Bastiani, L.P. Gnaccolini, a cura, Electa, Milano 2018
  • Berti, A. Vitali, Tarocchi. Arte e magia, Edizioni Le Tarot, Faenza 1994
  • P. Gnaccolini (a cura), Il segreto dei segreti. I Tarocchi Sola Busca e la cultura ermetico-alchemica tra Marche e Veneto alla fine del Quattrocento, Skira, Milano 2012
  • Jodorowsky, M. Costa, La Via dei Tarocchi, Feltrinelli, Milano 2014
  • Berti, T. Gonardi, Tarocchi egiziani, Lo Scarabeo, Torino 2010