05/07/2020

La figurazione contemporanea di Marco Monaldi tra tradizione e meditazione – di Loredana Finicelli

By artedellamarca

Per questo primo aggiornamento del 2020, il Dialogo con è dedicato a Marco Monaldi, marchigiano, nativo di San Benedetto del Tronto e attivo nel fermano. Da alcuni anni, alla professione di pittore d’arte figurativa, unisce quella di docente di tecniche pittoriche, una attività che esercita nel suo studio di Marina di Altidona e che riscuote molto apprezzamento da parte di chi ha avuto modo di sperimentarne le abilità didattiche.

Monaldi è un artista particolare, un figurativo sui generis per i temi trattati ma anche per il modo in cui esegue le sue opere frutto di una lunghissima, a volte estenuante, preparazione; un artista dalla produzione scarna ed esigua, ma allo stesso tempo dalla qualità eccelsa. In tempi in cui conta il numero delle prestazioni, la velocità della performance, termini come produttività e profitto, Monaldi ci avverte che la produzione artistica pittorica, almeno quella radicata veracemente nella tradizione richiede altre peculiarità, prime fra tutte, i lunghi tempi di riflessione, lo studio e la ricerca sul soggetto, una lunga, lenta e accuratissima esecuzione che produce opere di altissima fattura e qualità. E anche in questo, Monaldi, si comporta come un antico artigiano che produce pochi, ed elegantissimi pezzi, ma nel complesso, quasi tutti memorabili. Diplomato all’Accademia di Belle Arti di Firenze dove ha acquisito, attraverso un lungo esercizio e moltissima applicazione, un “mestiere” quasi puro e incorrotto, è oggi uno tra i massimi esponenti nelle Marche della pittura figurativa tradizionale declinata ovviamente in chiave contemporanea.


Monaldi, ti definisci un artista della tradizione, formatosi tra Firenze e le Marche, come tanti nostri talenti del passato. Mi incuriosisce la tua storia, come e quando hai deciso di diventare pittore, questo genere, oggi insolito, di pittore?

Assolutamente sì, ci tengo a ribadire come la mia sia una formazione storica, avvenuta a contatto con tecniche e pratiche antiche. Mi sono diplomato all’Accademia di Belle arti di Firenze, la patria dei Medici e dei più grandi artisti che abbiano vissuto nel nostro bel paese. Il David di Michelangelo si trovava oltre il muro che divideva la Galleria dell’Accademia e la Scuola di scultura. Avevo un pass che mi permetteva di entrare agli Uffizi e negli altri musei pubblici liberamente e, grazie a questa possibilità, ho potuto riprodurre

“Me” 2005 – 200×190

(e dunque esaminare, analizzare, approfondire) sia tanti dettagli delle opere a olio dei maestri del passato, sia tantissimi disegni della splendida collezione conservata presso il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe. Ogni passeggiata in piazza della Signoria era uno stimolo e un sentimento di venerazione per il Ratto delle Sabine del Giambologna e del Perseo di Benvenuto Cellini. Botticelli, Leonardo Da Vinci, Raffaello, Donatello……e tanti altri, un mondo intero che si apriva davanti agli occhi e attendeva di essere esplorato, ma anche rievocato nella sua forza pittorica. Poi i miei viaggi a Roma, per incontrare il grande Caravaggio, la conoscenza dei musei di tutta Europa, è così che, al di là dell’Accademia, è avvenuta la mia formazione, proprio come quella degli antichi maestri, alla scoperta delle tracce del passato. E infine, ancora oggi, non posso non ricordare il contributo della mia insegnante di Anatomia artistica dell’Accademia, Viviana Cosci, che mi ha accolto, mi ha trasmesso le basi del disegno, e l’uso del tratteggio come da tradizione rinascimentale. La pittura è stato il passaggio successivo ed obbligatorio. Diciamo che oggi dopo almeno quindici anni di errori, penso di aver raggiunto una buona conoscenza della tecnica pittorica dell’olio su tela che rimane per me il mezzo espressivo privilegiato, quello a cui sento di appartenere. Ma nella mia pittura che applica, a volte rielaborandoli, mezzi, metodi, motivi e prassi tradizionali, ho cercato di unire sotto il profilo simbolico-stilistico la mia conoscenza e passione per la cultura orientale, che frequento da molti anni studiando e praticando l’induismo, il buddhismo, il taoismo e esercitando, quando richiesto, sessioni  di pranoterapia che in qualche modo sintetizza tutte queste discipline della conoscenza e della sperimentazione energetica. Nella mia produzione pittorica, l’impostazione della figurazione classica occidentale, fondata su un disegno e una composizione accuratissime, è combinata con una tensione spirituale e una ricerca interiore di marca prettamente orientale e credo che questa sia la cifra stilistica che più caratterizzi la mia pittura e gli conferisca quell’aspetto unico e in qualche maniera atemporale. Un non so che di universale, come hanno voluto sottolineare alcuni critici. In riferimento alla scelta di diventare artista, credo che non si possa decidere di diventarlo, lo si è, e basta, a volte anche nostro malgrado, a volte anche a dispetto della nostra stessa vita, delle scelte che altri hanno compiuto per noi. Spesso per motivi esterni alle mie scelte, mi son trovato a dover prendere delle pause dalla pittura e dal mio percorso artistico, ma a un certo punto la chiamata era forte, viscerale e necessaria e quindi sono ripartito. Ho rimesso tutto in gioco e ho ribaltato la mia vita. Si fa ricerca, si guardano gli altri artisti, si seguono gli stimoli che si susseguono giorno dopo giorno, tutti i giorni e fondamentalmente ti accorgi che guardi il mondo con gli occhi di un artista.

Marco Monaldi, artista figurativo contemporaneo, tutto disegno e composizione. Di solito ti appelli in questo modo. Ti domando, ha ancora senso parlare di figurativo? È, o no, una battaglia di retroguardia?

L’arte è un flusso continuo: cambiamenti, modifiche, influenze, ricerche, ed è una necessità.  I tempi cambiano, ma questo non vuol dire che il figurativo sia ormai obsoleto. Dipende dal tipo di relazione che si crea con l’arte figurativa. Copiare i grandi artisti del passato, attraverso rifacimenti più o meno riusciti, magari riproponendo la grande tecnica che li ha contraddistinti, ovviamente non avrebbe molto senso. C’è sempre spazio per un approccio personale e identificante. La mia ricerca, in questo periodo, si sta arricchendo  di nozioni e tecnologie nuove; studio anatomia e composizione approfittando di programmi di pittura e modellazione digitale, di scultura 3D; un arricchimento costante che beneficia di tutti i mezzi che questa nostra modernità ci

“Son” 2016 – 60×50

mette a disposizione, conoscenze che poi si riversano nell’ultimo e unico tratto possibile, quello del disegno e della composizione tradizionali, mezzi con i quali provare a interpretare la realtà che ci circonda, con le sue complessità, le sue diramazioni, con le sue contraddizioni. In questi ultimi due anni, lo studio del digitale mi ha permesso di approfondire meglio le mie conoscenze. La mia esperienza si è arricchita moltissimo, e mi ha aperto strade che non immaginavo. In una prima fase, la tecnologia era soprattutto un mezzo di progettazione, finalizzata alla creazione di un dipinto tradizionale eseguito ad olio; in questi ultimi mesi, se vogliamo ‘grato’ al lockdown, ho studiato molto il mondo delle illustrazioni, la concept art, e mi sono concentrato sulla creazione di dipinti completamente digitali.  Una bellissima esperienza, che sono certo andrà a colorare, sporcare, stimolare il mio processo creativo. In fondo, ciò che mi interessa è proprio il corto circuito che si genera tra tecniche nuove e antiche, tra procedimenti consolidati e innovativi, tra immagini archetipe (come quelle degli angeli) imbrigliate da tessuti modernissimi in ambienti contemporanei e spazialità ricercate; lavorare appunto sulle intersezioni e sulle tensioni che si generano dal mescolare l’antico e il contemporaneo.

Monaldi disegnatore, poeta del monocromo. Con il colore, invece, un rapporto conflittuale (per usare un eufemismo)

Il disegno e la composizione per me sono una necessità di ordine, costruzione e tecnica, affiancate alla creatività. La tecnica del tratteggio è un mezzo, il segno è una unità che si ripete infinite volte, proprio come un mantra buddhista durante la pratica meditativa, e, attraverso questo segno ripetuto e replicato, io costruisco i volumi, definisco le geometrie, allestisco le composizioni. Le linee che compongono una forma rappresentano in realtà un flusso armonico ineguagliabile e quella armonia io cerco di raggiungere e condividere. Oltre a rappresentare la mia ricerca personale e interiore, questo approccio mi dà sicurezza, definisce un ordine in contrapposizione al caos che personalmente vivo e che tutti ci troviamo a vivere in questo periodo storico. Il monocromo è l’espressione che prediligo; certo è poco democratico, le scale di grigio sono molte, ma alla fine ciò che conta sono i bianchi e i neri. Un’estremizzazione, una applicazione  simbolico/concettuale del dualismo. Il fascino del “bianco e nero” supera a volte quello del colore stesso, non ha deviazioni.  Il colore è bello, attraente, ma può ingannare, il bianco e nero sono l’essenza. Poi, ai miei occhi, il colore rappresenta la realtà, quella che noi tutti viviamo e vediamo. La realtà, vista attraverso gli occhi di tutti, è una realtà colorata. Ogni oggetto riflette la luce in modo diverso e in base a questo percepiamo cos’è e come è. Inconsciamente è probabile che io voglia discostarmi dalla realtà e vivere in un mondo parallelo, un mondo idealizzato, semplice ma ricercato, un mondo dove non sei sollecitato dal colore e da tutte le sue informazioni, emotivamente destabilizzanti. Un mondo dove c’è più ordine. Il colore quindi dà molto, ma toglie altrettanto, così come la nostra realtà fenomenica. Il bianco e nero stimola meno, sei meno bombardato, è sintesi, una semplicità che mi rilassa.  E’ il mondo dove simbolicamente e idealmente vorrei vivere, il luogo dove vorrei rifugiarmi, un mondo onirico/spirituale coincidente con quello in cui vivono i miei angeli, spinti anche loro al di fuori della dimensione materiale e duale. Col tempo ho fatto dei piccoli passi avanti e sto lavorando su un processo di accoglienza della realtà, sia da un punto di vista creativo che interiore.

“Chiamata” 2018 – 240×80

 

Il tema ricorrente del tuo lavoro sono gli angeli, una figura archetipa, anch’essa tradizionale ma che nella tua pittura trova formulazioni molto originali. Oltre a essere pezzi di pittura eccezionali, occasioni per metter in evidenza le grandi doti di disegnatore e conoscitore della anatomia che possiedi, questi angeli che dipingi, – dirò una banalità, lo so – sono molto poco celesti e terribilmente umani. Talmente umani da sembrare ripetutamente caduti. Questi angeli umani, sono specchio di te, ti somigliano?

“Introspezione” 2019 – 60×120

Certo, sono parti di me, opere autobiografiche e spesso sono io stesso a essere rappresentato, attraverso un lavoro di analisi sull’autoritratto e dunque sulle identità recondite di te stesso; ma essi sono anche dei figli che nascono per soddisfare la tua necessità di eternità. Anche se il soggetto sembra sempre lo stesso, seppur declinato in posizioni e posture differenti che hanno lo scopo di far emergere la potenza anatomica dei soggetti, ciò che voglio suscitare nei miei dipinti è la forza, l’impatto, l’attrazione e la destabilizzazione emotiva, e la tensione verso un complesso armonico a cui non è sconosciuto il godimento estetico e sensuale.  Desidero raccontare porzioni del mio mondo, del mio viaggio, a partire dagli istinti e dalle emozioni che hanno come meta un traguardo di armonia e serenità. Ciò che voglio dire è che a un primo sguardo, un quadro può attrarre per la bellezza o per la repulsione, ma ciò che conta è quello che accade successivamente, ovvero accorgersi che si può scoprire attentamente, che al di là di un primo sguardo e una prima impressione, c’è molto da esplorare e molto da comprendere e che esplorando e comprendendo ci si avventura su un percorso che conduce alla bellezza e alla armonia, perché  l’attrazione è immediata ma l’esperienza no, richiede dedizione, tempo, ma difficilmente non appaga se opportunamente ponderata e assimilata.

“Respiro” 2008 – 200×100

Un notevole insegnante da quanto si racconta in giro. Capace di insegnare la tecnica e far emergere il talento soggettivo, senza invadenza o prevaricazione.

L’insegnamento è l’altro aspetto della mia vita professionale. Condividere con gli altri la propria conoscenza, trasmetterla, e cercare di farlo in modo giusto, semplice ed efficace, stimola una spiccata elasticità mentale.  Ho affrontato con i miei allievi, soggetti e tematiche molto differenti dalle mie, un ottimo test per le mie conoscenze su terreni che pensavo non fossero per me congeniali, come ad esempio i paesaggi. È tutto un grande lavoro di apertura, un cercare di rompere i miei schemi creativi per immedesimarmi in quelli dei miei allievi, un processo formativo davvero importante. L’insegnante trasmette ed insegna, ma parallelamente apprende. Con gli allievi creo legami molto interessanti e di condivisione, non solo tecnica, ma anche psicologica e spirituale. Osservare come disegnano o dipingono, l’approccio che mettono in campo, le strategie che sviluppano, tutto mi permette di analizzare la loro natura, una natura che cerco sempre di assecondare, magari aggiungendo tecnica, perché le basi, del buon fare sono essenziali.  Credo fermamente che qualsiasi cosa si voglia fare, passi dall’acquisire le conoscenze fondamentali: diversamente, credo sia impensabile progettare e produrre qualcosa che abbia l’ambizione di andare al di là del contingente e tendere, per quanto possibile, all’universalità. Credo che il mio lavoro pittorico rifletta questo mio impegno quotidiano di strutturare le basi, costruire solide fondamenta per reggere aspirazioni complesse e via via, fin dove possibile, ambiziose.

Progetti futuri. All’orizzonte c’è una attività come illustratore, a cui ti stai preparando con dedizione. Vuoi raccontare al Blog di questo nuovo progetto?

Come dicevo in questi ultimi mesi, stimolato da un mio amico, grande artista e illustratore, a sperimentare le possibilità inerenti la pittura digitale e l’illustrazione, ho affrontato un periodo di studi e di test per verificare il mio reale interesse verso questi mezzi creativi e i primi tentativi sono stati fruttuosi. Per cui sto perseguendo alcuni obiettivi di crescita e affinando le mie abilità nel campo, per potermi posizionare in futuro anche come illustratore ambito che mi ha sempre molto attratto. Devo dire che l’approccio alla pittura digitale, per un’artista che ha sempre utilizzato i mezzi espressivi tradizionali, è stato veramente stimolante, e anche sorprendente per le grandi possibilità semplificative che consente, perché se sbagli basta un ctrl+z e puoi ripartire, mentre con la pittura a olio non è davvero così semplice, sebbene vi sia una grande elasticità di esecuzione.  Il digitale permette di lavorare con disinvoltura su dimensioni molto grandi, che da sempre sono le mie preferite, e questo soddisfa la mia maniacalità del particolare. Per concludere, sono due mezzi ben diversi, assolutamente validi, ma, per quanto mi riguarda, l’alchimia che conserva il colore a olio, la fisicità che si sperimenta in un dipinto tradizionale, l’odore delle misture, la ricerca del giusto tono, l’energia vivida che permea e traspira da un dipinto non ha eguali per me, continua a non avere uguali.

“Silentium 3” 2013 – 150×150